Italia al terzultimo posto in UE per costo dell’energia elettrica

L’aumento dell’inflazione è una preoccupazione che riguarda non solo la popolazione italiana, ma anche quella europea in generale. In questo contesto, in cui le persone devono fare i conti con spese sempre più alte, il tema del costo dell’energia elettrica è un ulteriore elemento di preoccupazione nella gestione delle finanze dei consumatori.

Uno studio condotto dalla banca N26 sull’Indice di vivibilità ha identificato i Paesi europei che offrono una migliore qualità della vita, considerando i costi associati, in particolare quelli legati agli affitti e all’energia elettrica, nonché la densità della popolazione e il livello generale di felicità dei residenti di ciascun Paese analizzato.

L’indice di vivibilità dei Paesi europei

Tra i vari fattori presi in considerazione per definire la classifica dei paesi più vivibili in Europa, i costi legati all’energia elettrica rivestono una particolare importanza, sia in valore assoluto che se analizzati in relazione agli stipendi medi. Secondo i dati dello studio di N26, l’Italia si posiziona al terzultimo posto della classifica per il costo medio annuo dell’energia elettrica, con un costo che raggiunge quasi i 700 euro.

Benché inferiore rispetto a Germania e Belgio, dove si si spende rispettivamente 757 euro e 761euro circa, questo importo risulta particolarmente elevato se rapportato all’ammontare medio degli stipendi, che arriva a 31.530 euro in Italia, contro i 45.457 euro in Germania e i 52.035 euro in Belgio.

Gli italiani spendono il 2% dello stipendio in bolletta elettrica

La percentuale dello stipendio che gli italiani destinano all’energia elettrica supera il 2%, posizionandosi solo al di sotto di quella della Grecia. Nonostante il costo dell’energia elettrica in Grecia sia notevolmente più basso, dato che si attesta intorno ai 414 euro annui, la popolazione guadagna significativamente meno rispetto agli altri Paesi europei analizzati, con stipendi medi che si aggirano sui 16.000 euro l’anno.

La vivibilità è connessa ai costi 

La metodologia utilizzata dall’Indice di vivibilità di N26 si concentra su 12 paesi europei selezionati in base alla loro attrattiva per la ricollocazione, alla dimensione della popolazione e alla stabilità economica. Le classifiche sono state determinate analizzando le spese medie per l’energia nel 2023, gli aumenti salariali medi dal 2022 al 2023, la densità di popolazione al 16 luglio 2023 e i livelli di felicità medi negli anni 2020-2022.

Classifiche più elevate riflettono spese energetiche inferiori, aumenti salariali superiori all’inflazione, densità di popolazione più bassa e livelli di felicità più elevati, con l’obiettivo di evidenziare i paesi più favorevoli per la ricollocazione o la residenza in base al punteggio complessivo.

Media digitali: consumi e comportamenti dei minori

Trascorrono online da una a tre ore al giorno, uno su cinque, oltre le quattro ore, utilizzando social network, messaggistica e piattaforme streaming. Quando sono in rete si esprimono attraverso quattro modalità: irrequieti, esploratori, performativi e ripiegati. Il 94% dei minori tra gli 8 e 16 anni utilizza lo smartphone: il 68% ne possiede uno personale, il 28% l’ha ricevuto prima dei 10 anni e il 25% dopo gli 11. Ma contestualmente cresce la consapevolezza di un uso eccessivo.

È questa la fotografia dei minori tra 8 e 16 anni intervistati da uno studio promosso dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy con la collaborazione dell’Alta Scuola in Media, comunicazione e spettacolo dell’Università Cattolica.

Ogni social ha il suo ruolo specifico

Sette ragazzi su dieci (50% tra 8 e 10 anni) usano regolarmente i social e le piattaforme streaming, e l’utenza aumenta nel passaggio a tweens e teens.
Instagram serve a curiosare e interagire, Tik Tok a lasciarsi andare al flusso, Facebook a leggere i commenti più che a guardare.

In generale le piattaforme streaming (YouTube, Amazon Prime Video e Netflix, ma anche Svod e Avod) vengono utilizzate in famiglia, o da soli, molto meno con gli amici, fuori casa e a scuola.
Tra le piattaforme di messaggistica, Whatsapp è risultato imprescindibile per comunicare, creare community, scambiare materiali. I fruitori regolari sono al 93% 14-15enni, all’89% 11-13enni e al 60% tra 8-10 anni.

Un controllo eccessivo inibisce lo sviluppo di competenze?

Gli intervistati hanno espresso piena fiducia a Whatsapp, Instagram e Pinterest (e a seguire Telegram, Twitch e Discord), alle piattaforme Netflix e Amazon Prime Video, e in seconda battuta a Rai Play e Disney+, non alla più popolare YouTube.

Per quanto riguarda le forme di limitazione e controllo nell’uso degli smartphone da parte dei genitori, circa 8 su 10 le utilizza sfruttando i limitatori, come parental control offerti da piattaforme e dispositivi.
Più di un terzo dei ragazzi e delle ragazze viene controllato: il 49% dei bambini 8-10enni e il 20% dei 14-15enni. Ma l’eccessivo controllo potrebbe inibire lo sviluppo di competenze e autonomia, rendendo più acritica la navigazione.

Quattro su 10 hanno avuto esperienze negative

Lo studio poi conferma i rischi della rete: 4 su 10 raccontano esperienze negative, e la maggioranza ha visto contenuti inadatti almeno una volta su un social. In particolare, i più piccoli sono incappati in eventi critici su YouTube.
Circa un quarto del campione (17% teens) afferma di non essere mai incorso in esperienze negative sui social, mentre il 42% (53% teens) ne riporta di gravi e ripetute.

I più esposti sono coloro che tendono a condividere contenuti e informazioni personali con sconosciuti, i soggetti più fragili o che esprimono minor benessere, gli utenti regolari dei social network, gli iperconnessi e i gamers intensivi. Ma si evidenzia anche una lieve prevalenza territoriale che penalizza i residenti nelle grandi città e nel Sud Italia, più inclini all’uso precoce di smartphone e social.

Lavoratori e Intelligenza Artificiale, un rapporto ancora senza regole

Sono moltissimi i dipendenti delle imprese che già oggi sfruttano strumenti di IA generativa sul luogo di lavoro. Niente di male, se non fosse che una gran parte di loro lo fanno senza adeguata formazione, supporto o policy aziendale. In Italia, il 17% dei lavoratori intervistati ammette di utilizzare tali strumenti, ma il 49% di questi lo fa senza aver ottenuto l’approvazione formale dal datore di lavoro.

Sono alcuni dei risultati dell’ultima indagine condotta da Salesforce, intitolata “Le promesse e le insidie dell’Intelligenza Artificiale sul lavoro”. L’analisi, che svela importanti dinamiche legate all’utilizzo dell’IA generativa da parte dei lavoratori, ha coinvolto oltre 14.000 dipendenti distribuiti in 14 paesi, con 1.002 partecipanti provenienti dall’Italia.

Il 54% dei lavoratori italiani “bara”

Gli intervistati, anche se già impiegano le nuove tecnologie IA, manifestano la volontà di avere indicazioni chiare in merito all’utilizzo etico e sicuro dell’IA. I lavoratori che utilizzano strumenti non autorizzati riconoscono la necessità di adottare programmi ufficiali approvati dalle rispettive aziende. Tuttavia, alcuni praticano comportamenti discutibili, come attribuirsi indebitamente il lavoro svolto dall’IA o mentire sulle proprie competenze. In Italia, il 54% ha presentato il lavoro di IA come proprio, mentre il 29% simulerebbe competenze più avanzate per ottenere nuove opportunità lavorative.

Non è solo “colpa” dei dipendenti

Nonostante le azioni non sempre corrette dei dipendenti, la ricerca mette in luce  che la responsabilità non è esclusivamente a loro carico. A livello globale, quasi sette lavoratori su dieci non hanno ancora ricevuto una formazione completa su come utilizzare in modo sicuro ed etico gli strumenti di IA generativa sul luogo di lavoro. In Italia, solo il 23% dei lavoratori ha ricevuto una formazione sull’utilizzo di tali strumenti.

Oltre alla mancanza di formazione, viene evidenziato un problema legato alla mancanza o all’ambiguità delle policy aziendali sull’IA generativa. A livello mondiale, l’87% dei lavoratori nel settore sanitario afferma che le politiche aziendali sono poco chiare o addirittura assenti. 
In Italia, il 42% dei lavoratori sostiene che la propria azienda non ha policy riguardanti l’utilizzo dell’IA, e solo il 15% opera in un contesto in cui esistono linee guida ben definite.

Nuove opportunità professionali

E’ un dato di fatto che la conoscenza di strumenti di IA possa avere un riverbero positivo sull’avanzamento di carriera. Il 37% dei lavoratori italiani ritiene che acquisire competenze nell’IA renderebbe il proprio profilo più appetibile. Il 46% è attratto da aziende all’avanguardia nell’utilizzo dell’IA.

Nel complesso, il 72% crede che l’IA generativa aumenti la produttività, e il 39% pensa che coloro che padroneggiano queste tecnologie possano ambire a stipendi più alti.

Shopping natalizio online: come evitare la “truffa del pacco”

Già durante il Black Friday 2023 lo shopping online ha registrato un aumento della spesa media del +20% rispetto al 2022, mentre la spesa nei negozi fisici è diminuita dell’11%. E secondo i dati raccolti dalla banca online N26, per gli acquisti pre-natalizi gli italiani sceglieranno di acquistare principalmente sul web.

Lo shopping online però espone con maggiore probabilità al pericolo di frode. Un pericolo che non termina con il completamento dell’acquisto. Anche la fase della consegna dei beni acquistati può costituire infatti terreno fertile per i truffatori. Si tratta della cosiddetta “truffa del pacco”, una forma di phishing via email, o smishing via SMS.

Non aprite quella mail

Il meccanismo è semplice: una email o un SMS comunicano problemi con la consegna, o più semplicemente, è richiesta un’attività da parte del destinatario, come cliccare un link o comunicare informazioni personali e credenziali della carta di credito.
Il successo di questa truffa è proprio la credibilità. Con il picco di ordini online durante il periodo pre-natalizio, è facile credere che possa nascere un problema con la consegna.
Il team Trust & Safety di N26 condivide, quindi, quattro consigli, semplici e fondamentali, da seguire in caso di messaggi o email sospetti da parte di sedicenti servizi di corrieri, per poter completare l’esperienza di shopping online senza preoccupazioni.

Come riconoscere un messaggio di phishing

Anzitutto, osservare la formattazione del testo della mail o del messaggio ricevuto. Spesso i messaggi di phishing contengono formattazioni imprecise, errori di grammatica, una strana impaginazione o mancano di un indirizzo personalizzato.
Esaminare attentamente anche l’indirizzo email del mittente: i truffatori spesso usano indirizzi contraffatti, non coerenti con l’identità dell’azienda dichiarata.
Controllare poi il numero del mittente dell’SMS. Molte volte i messaggi di truffa sono inviati da numeri ‘sconosciuti’ o a cifre irregolari, che non corrispondono a quello ufficiale dell’azienda dichiarata.

Il consiglio migliore è contattare la propria banca

Fare attenzione al linguaggio dell’SMS/email. I truffatori utilizzano un linguaggio coercitivo o urgente per spingere le vittime ad agire rapidamente e d’impulso.
Per evitare brutte sorprese, dunque, di fronte a email e SMS dubbi, e prima di rilasciare informazioni personali o relative alla carta di credito, il consiglio migliore rimane quello di mettersi in contatto con la propria banca.

Salute: la spesa sanitaria pubblica nel 2050 raggiungerà il 9% del Pil 

Nel 2050, quando ci saranno 58,5 milioni di italiani, 2,4 milioni in meno rispetto a quelli attuali, un cittadino su tre sarà over-65, e su questa fascia di popolazione si concentrerà oltre il 70% della spesa sanitaria pubblica rispetto al 60% attuale.
A quanto emerge dal 18° rapporto “Meridiano Sanità”, di The European House – Ambrosetti, per soddisfare i crescenti bisogni di salute e assistenza, la spesa sanitaria pubblica nel 2050 dovrebbe raggiungere 211,3 miliardi di euro a prezzi correnti, +56,9% rispetto ai 134,7 miliardi attuali, pari a circa il 9% del Pil, che a oggi è pari al 6,7%.
Ma senza politiche attive per il mercato del lavoro il numero di occupati diminuirà del 17,2%, a 19 milioni. 

Cresce il bisogno di assistenza ma si riduce il numero di contribuenti 

Il nostro Sistema Sanitario Nazionale si trova quindi a rincorrere affannosamente l’aumento dei bisogni di salute e assistenza in un quadro di riduzione dei cittadini in età attiva, principali contribuenti della spesa sanitaria pubblica.
In pratica, dagli attuali 5.886 euro a carico di ciascun lavoratore la spesa sanitaria passerebbe a 11.151 euro nel 2050.

“Per garantire la tenuta del sistema sanitario e, più in generale di welfare, servono una strategia e una visione unitaria di demografia, economia e salute”, commenta Valerio De Molli, Managing Partner e ceo The European House. 
È perciò necessario avviare un dibattito sul finanziamento della sanità, che dovrebbe basarsi su una concreta integrazione tra pubblico e privato.

Come salvaguardare il SSN?

Per rispondere all’aumento della domanda di salute, e salvaguardare il SSN, seconda ‘impresa’ dopo la scuola per numero di addetti, si devono risolvere al più presto alcune questioni aperte, a partire dall’emergenza del personale sanitario.
Le carenze più significative riguardano ii Medici di Medicina Generale, nei quali il ricambio generazionale è in ritardo, e dagli infermieri, che hanno un limitato riconoscimento economico e professionale rispetto ai colleghi europei.
Con 6,2 infermieri per 1.000 abitanti l’Italia ha la metà degli infermieri della Germania rispetto alla popolazione (12 per 1.000 abitanti), Paese in cui le retribuzioni sono superiori al 30% rispetto al nostro Paese.

Il sistema salute è un asset strategico su cui investire

Emerge poi la necessità di accelerare la Riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR (Missione 6 ‘Salute’).
Grazie anche al rafforzamento di sistemi informativi, telemedicina e dati, a cui il PNRR destina oltre 4 miliardi di euro, la collaborazione tra MMG, farmacisti e altri professionisti delle cure primarie, rappresenta la via maestra per offrire ai pazienti un’assistenza continuativa e di prossimità.
La rete dell’assistenza rappresenta solo una componente dell’ecosistema della salute, sistema che unisce e mette in comunicazione la componente industriale privata con quella prevalentemente pubblica della rete di assistenza e ricerca.
Un ecosistema e un asset strategico su cui investire, anche per aumentare la competitività del Paese e rilanciarne la crescita.

Risparmi: l’ottimismo è in ripresa, ma si preferiscono investimenti più sicuri

La fiducia per il clima economico nel nostro Paese sta tornando a livelli analoghi a quelli della prima metà del 2021.
Lo attesta l’indagine annuale di Ipsos condotta per Acri, dal titolo Scelte consapevoli, educazione, responsabilità: la sfida del risparmio per le nuove generazioni.

Rispetto al 2022 diminuiscono le famiglie in forte difficoltà economica e aumentano quelle con una migliore tenuta del tenore di vita. Scende poi dal 17% al 14% la quota di chi appare seriamente in difficoltà.
Guardando al futuro, le previsioni sull’andamento dell’economia personale, locale, fino a quella europea e mondiale, portano gli italiani da un marcato pessimismo dello scorso anno a un rimbalzo positivo, trainato da forti attese personali, specie nella generazione di mezzo.

Il clima di incertezza penalizza gli strumenti finanziari più a rischio

A scapito dell’immobilismo e della liquidità, certamente legata all’inflazione e ai maggiori rendimenti offerti da molti intermediari e titoli di Stato, cresce la propensione verso strumenti finanziari più sicuri. Questo in un quadro, comunque, di incertezza verso regole e controlli, che penalizza gli strumenti più a rischio.

I più giovani però lamentano bassa competenza finanziaria, bassa autonomia gestionale ma sono molto interessati a approfondire i temi.
La sfida è quindi culturale e educativa, perché i più giovani ambiscono a una autonomia che raggiungono solo tardi, e a fatica.

Fiducia nella UE intaccata dalla politica sui tassi di interesse

In questo scenario incerto, si indebolisce la fiducia nell’Unione Europea e nell’euro, sostenuta comunque dalle nuove generazioni.
I dati evidenziano una polarizzazione tra chi ha fiducia nelle azioni e nelle scelte che verranno prese (51%) e chi no (49%).

A intaccare la fiducia ha contribuito la politica sui tassi di interesse della BCE per contrastare l’inflazione. Una misura che ha messo in difficoltà molte famiglie e imprese, costrette a pagare interessi più alti su mutui, prestiti, e finanziamenti, e per questo divenute molto più critiche verso la UE.
Inoltre, va sottolineato come le crisi legate alla scarsità e ai costi maggiori di materie prime ed energia abbiano indebolito l’idea che l’Europa, sempre riconosciuta per la sua tutela delle libertà e dei singoli, sia in grado di difendere gli ideali democratici e la capacità competitiva sui mercati internazionali.

Si allenta il legame percepito tra responsabilità sociale e ambientale

Sembra allentarsi poi il legame percepito tra responsabilità sociale e ambientale, abilitatori della competitività aziendale e dello sviluppo economico del Paese. Rimane però importante il contributo delle associazioni di categoria, dei corpi intermedi, e del Terzo settore, nel garantire coesione sociale e sviluppo.
I singoli cittadini rimangono molto attivi, sia nell’ambito del volontariato, donando il proprio tempo, e ancor più facendo donazioni per sostenere il Terzo settore e iniziative benefiche.
Coerentemente, è sempre forte la percezione del ruolo sociale del risparmio, strumento fondamentale per garantire crescita economica, sviluppo sociale e civile del Paese.

Consumi e stili di vita degli italiani al tempo delle rinunce

Esaurita l’esuberante crescita post pandemica, l’economia italiana perde la spinta dei consumi che hanno sostenuto il Pil nella prima parte del 2023.  A quanto emerge dal Rapporto Coop 2023 – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e domani, redatto dall’ufficio Studi di Ancc-Coop, nei prossimi mesi infatti le intenzioni di spesa degli italiani fanno segnare una brusca inversione di rotta: il 36% ridurrà i consumi e solo l’11% li aumenterà. Le prospettive sono appesantite dall’eccezionale crescita dell’inflazione che ha abbattuto il potere d’acquisto in una misura pari a 6.700 euro pro-capite. Secondo l’80% dei manager intervistati bisognerà aspettare almeno il 2025 prima che la crescita dei prezzi torni ai livelli pre-pandemici. 

Il lavoro non paga e i prezzi salgono 

A fronte di un drammatico impoverimento, la dinamica delle retribuzioni resta insufficiente. Il 70% degli occupati avrebbe bisogno almeno di un’altra mensilità per condurre una vita dignitosa. Da qui la tendenza ad aggiungere lavoro al lavoro come strategia di difesa dal carovita, aumentando il numero di ore lavorate (27%) o eseguendo lavoretti aggiuntivi (25%). Ma a dispetto di questo impegno ulteriore, l’impatto devastante dei prezzi trascina 27 milioni di italiani (+50% vs 2021) in una condizione di disagio duraturo, costringendoli a rinunciare allo standard di vita minimo accettabile almeno in un ambito. Il 10% non arriva a fine mese e un’ulteriore 23% ci arriva, ma teme di non farcela. 

Il disagio affonda la classe media

Anche se in un qualche modo si sbarca il lunario, si fanno grandi rinunce (20%) o sacrifici. Tra le famiglie middle class meno della metà riuscirebbe a fare fronte senza difficoltà a una spesa imprevista di 800 euro. La categoria più in difficoltà è quella dei giovani: la GenZ (18-34enni) vive in una sorta di apartheid in termini retributivi, e il dislivello generazionale con i boomers è impietoso.
A fronte di una retribuzione media, i primi scendono del 23% mentre i secondi salgono di oltre il 17%. E a parità di inquadramento, un giovane italiano guadagna quasi la metà di un over50. Non stupisce se il 40% di loro immagina di vivere altrove da qui a 2/3 anni e il 20% sta progettando di farlo.

L’enigma di un’imperscrutabile serenità

Eppure, gli italiani continuano a manifestare una sorprendente assenza di rabbia o rancore sociale. La fotografia scattata dal Rapporto è di un Paese certamente inquieto (30%, +6% vs 2022), dove crescono i timori (32% vs 20%), ma che vede rafforzare fiducia (36%), serenità (29%), accettazione (23%) e aspettativa positiva (28%). Un ostinato, pacato, ottimismo che costituisce uno dei grandi punti di forza del sistema Paese, ma che fa emergere anche tutta la fatica quotidiana per tenere insieme i pezzi.
Non sorprende che 1 italiano su 5 faccia un uso più o meno abituale di psicofarmaci, e che i farmaci per ipertensione, gastrite e stress svettino in cima alla classifica dei medicinali più venduti.

Intelligenza artificiale: è davvero immune agli hacker?

Le tecniche e gli obiettivi dei cyber criminali sono in costante progresso e spesso sfruttano l’attualità o i temi emergenti nel dibattito pubblico, come l’Intelligenza artificiale. Ma i sistemi basati sull’Intelligenza artificiale sono davvero immuni dagli attacchi informatici? Pare di no.
Con l’aumento di popolarità del software di Intelligenza artificiale ChatGpt è stata osservata la creazione di nuovi virus e minacce informatiche, così come la creazione di e-mail che distribuiscono phishing. In ogni caso, “Si potrebbero raggruppare gli attacchi all’AI in due macrocategorie – spiega Pierluigi Paganini, ceo di Cyberhorus e professore di Cybersecurity presso l’Università Luiss Guido Carli -. Cioè gli attacchi contro i sistemi e gli attacchi ai modelli di Intelligenza artificiale”.

Attacchi contro i sistemi e attacchi ai modelli

“Alla prima categoria – continua Paganini – appartengono gli attacchi all’infrastruttura su cui si basa un sistema di AI, ad esempio, alle reti o ai server che lo ospitano, alle comunicazioni tra le componenti e l’accesso non autorizzato ai dati ed al modello stesso. Gli attacchi appartenenti alla seconda categoria prendono di mira specificamente il modello di AI utilizzato dal sistema. Un esempio è la manipolazione dei dati di addestramento o la modifica dei parametri del modello. In un attacco basato sulla manipolazione dei dati l’attaccante modifica o manipola i data set utilizzati per l’addestramento o l’alimentazione di un modello di Intelligenza artificiale con l’intento di interferire con il suo comportamento”.

Indurre il sistema a prendere decisioni errate

“Immaginiamo, ad esempio, di addestrare un sistema per il riconoscimento di un attacco informatico – osserva Paganini -: qualora un attaccante riuscisse a fornire false informazioni sugli attacchi nel set di addestramento potrebbe portare il modello a non riconoscere correttamente un attacco quando questo si verifica. In realtà i modelli possono essere attaccati non solo in fase di addestramento, ma anche in fase di esercizio, ovvero fornendo ai sistemi basati sull’AI dati studiati per influenzarne il comportamento e indurre il sistema a prendere decisioni errate”.

Le tecniche usate per ingannare l’AI

“Un’altra tecnica di attacco ai dati, nota come attacco di inferenza, consiste nel tentativo di ottenere informazioni sensibili dal modello di AI mediante una serie di interrogazioni ad hoc – puntualizza il ceo -. Questi attacchi, riporta Ansa, potrebbero essere sfruttati per eludere le limitazioni imposte al modello nell’iterazione con gli umani. Una ulteriore tecnica di attacco potrebbe avere come obiettivo quello di ‘avvelenare’ il modello di Intelligenza artificiale usato da un sistema. Può essere condotto in diverse fasi del processo di addestramento, dalla raccolta dei dati all’addestramento stesso. Talvolta si parla anche di ‘modifica dei pesi del modello’, ovvero della capacità di un attaccante di modificare direttamente i pesi del modello durante la fase di addestramento”.